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lunedì 4 aprile 2016

Traduzione: THE QUEEN "Original sinners #8 - White Years #4" di TAFFANY REISZ - TRADUZIONE ESTRATTI "Capitolo XII. Il maestro di frusta + Capitolo XIII. Ricongiungimento"



Che dire ragazze? Non ce n'è per nessuno. Questa donna è eccezionale! E pure la nostra blogger che ogni tanto ce ne regala un pezzettino. Anche se così non fa che aumentare il desiderio di leggerla per intero! Purtroppo la casa editrice non si sbilancia sui prossimi libri, al momento tutto tace e non ci  dato sapere se e quando arriveranno. Per ora accontentiamoci di queste pillole targate Enrica.





TRADUZIONE ESTRATTI CAPITOLI XII & XIII

...Succede che Eleanor torna dopo un anno che era sparita da tutto e da tutti. 
Succede che non sa dove andare e cosa fare. 
Succede che va da Kingsley che vuole fare di lei la regina dell'Underground.
Succede che per diventarlo deve detronizzare una dominatrice stronza e sadica, Milady, che non ha rispetto per i suoi sub, non si ferma neanche con le safe word... 
e succede che Milady osa posare lo sguardo sul suo prete! 
E Mistress Nora morde il freno per imparare a usare la frusta.

Bene, e ora che la nostra blogger ci ha introdotto la scena... non resta che leggere la traduzione!

Capitolo XII. Il maestro di frusta
Kingsley le prese la frusta dalle mani e la avvolse ordinatamente. La prese per un braccio e la condusse fuori dall'ufficio.
«Ho sempre desiderato usare una frusta,» disse Nora. «Credo di aver visto troppi film di Indiana Jones da bambina. Pensi che fosse kinky?»
«French Vanilla,» disse Kingsley.
«Cos'è?»
«Vanilla con una forte libido e un gusto per il sesso anale.»
«Capisco.»
«Zorro, però, era kinky,» disse Kingsley. «Ed era molto più bravo di Dr. Jones con la frusta.»
«Zorro era kinky? Questo spiega la maschera. Pensi che fosse uno switch?» domandò Nora mentre raggiungevano la porta della stanza dei giochi. Kingsley aprì la porta e la fece entrare.
«No» disse Kingsley. «Ma puoi avere lui.»
Nora rimase a bocca aperta. Lì in piedi nella stanza dei giochi con l'uniforme di quando era fuori servizio, in jeans neri e maglietta nera a maniche lunghe c'era...
«Søren.»

Capitolo XIII. Ricongiungimento
Søren sciolse le braccia e sollevò una mano. Con il dito scolpì la lettera Z in aria.
Dietro di lei la porta era chiusa. Kingsley l'aveva lasciata sola nella stanza con Søren.
«Søren» ripeté lei, non credendo del tutto ai suoi occhi. Fece un respiro tremante. Era lì. Søren. In piedi proprio davanti a un'intera parete di fruste e floggers, bello e affascinante, padrone di sé, mentre lei stava lì a ingoiare aria come un pesce sulla terraferma.
«Come stai, Eleanor? » La sua voce era calma e controllata, e lei lo odiava per questo. Come poteva essere così calmo in un momento come quello? E come le poteva farle quella domanda tra tutte le domande esistenti?
Come stava? Come stava? Questo era ciò che aveva da dirle dopo un anno che non la vedeva? Come avrebbe dovuto rispondere a questa domanda? Cosa avrebbe dovuto dirgli, a quest'uomo che era stato tutta la sua vita da quando aveva quindici anni? Quest'uomo che l'aveva salvata e condannata allo stesso tempo? Niente da dire. Nulla poteva dire. Così fece l'unica cosa che poteva fare in un momento come quello, quando le parole erano prive di significato.
Iniziò a camminare, ma a metà strada la passeggiata lungo la stanza si trasformò in una corsa. Si gettò fra le sue braccia e lo baciò.
Era scioccato in un primo momento. Questo era evidente dallo sguardo sul suo volto.
«Pensavo che mi odiassi,» disse.
«Ti odierò più tardi.»
La sua bocca trovò quella di lei e il bacio era tutto ciò che lei aveva dimenticato di aver bisogno. Lui la dominò con il bacio, la travolse, la sopraffece. Era supina sul letto prima che lei se ne rendesse conto. Se avesse avuto un po' d'orgoglio o dignità o qualsiasi autocontrollo di sorta lo avrebbe fermato con una parola. Ma lei non voleva il suo orgoglio e non voleva la sua dignità e Dio lo sapeva che non voleva avere l'autocontrollo. Lei voleva solo lui.
«Devo farti del male,» disse Søren mentre sprofondava le mani nei suoi capelli e inclinava la testa all'indietro. La morse, la baciò, le leccò il collo e la gola. Era interamente sopra di lei, il corpo, le mani, le ginocchia che spingevano tra le cosce, reclamandola.
«Fammi male, allora. Fallo in fretta prima che cambi idea.» Un avvertimento inutile. Non c'erano ripensamenti. Pensò che fermarlo in quel momento fosse come fermare un treno in corsa piazzandosi di fronte e tendendolo con le mani. Una bella fantasia eroica, ma niente che potesse mai essere tentato nel mondo reale.
Søren si alzò in ginocchio tra le gambe e le strappò via la camicetta. Era raro che stracciasse i vestiti. Di solito aveva più autocontrollo. Ma non oggi. Nessuno dei due lo aveva.
Con le mani ruvide e senza alcun riguardo per il suo benessere, Søren la spogliò nuda. I suoi vestiti finirono sul pavimento con le scarpe. Appena Søren si sfilò la camicia, Nora lo raggiunse fino a toccare il petto e il ventre. Quel corpo, come le era mancato. Quel corpo lungo, snello, indomabile che aveva agognato come chi sta annegando desidera l'aria.
Quando le sue mani toccarono i lati delicati della sua gabbia toracica, le afferrò i polsi e li spinse verso il letto sopra la testa. Lo fece abbastanza forte da farle male e lei gridò per il dolore. Søren chiuse gli occhi, inalando, respirando il suo dolore. La sua sofferenza. Il suo ossigeno. Gli morse il petto sopra il cuore, restituendo dolore al dolore.
Mentre lui la teneva inchiodata al materasso, le succhiò i capezzoli. Erano già duri ma la sua bocca calda e umida li fece dolere e pulsare. Le ginocchia tenevano le gambe aperte più ampiamente. Il sangue la percorse interamente, martellante nelle vene, nei polmoni, nei fianchi. Lo supplicò di poterlo toccare di nuovo, ma lui la teneva imprigionata contro il letto, impossibilitata di sollevare le mani tenute in un pugno di ferro. Avrebbe avuto lividi sugli avambracci.
Dio, le era mancato tutto questo.
Søren spostò il suo corpo verso il basso, baciandole i fianchi, il ventre. Il calore si irradiò dalla sua bocca su di lei. Non c'era scampo. Lui la teneva giù con le mani, ma lei rimase per volere del suo cuore.
Senza preavviso Søren la girò, spingendola sullo stomaco. Si sentiva il letto che si muoveva. Si fermò ai piedi, tenendo la caviglia in mano, legandola alla spalliera del letto con una corda. Legò l'altra caviglia. Lei provò a unire le gambe, ma non ci riuscì. Erano intrappolate, tenute spalancate.
Lo sentì spogliarsi. Si mosse in fretta, impaziente come lei. Sentì altri suoni, prese un flogger dal muro e anche qualcos'altro. Una canna? Un frustino? Non aveva importanza. Era lo stesso per lei.
Il letto si mosse di nuovo. Si inginocchiò tra le sue cosce. Il primo colpo del flogger cadde proprio al centro della schiena. Il secondo colpo la colpì nello stesso punto. Il terzo colpì più duro rispetto alle prime due. Ma tra il quarto e il quinto colpo brutale, Søren la penetrò. Lei era bagnata dalle cure esperte di Kingsley, ma bruciò. Il suo lamento di dolore non lo fermò e nemmeno lei lo voleva. Søren spinse di nuovo, fino in fondo, e lei inarcò la schiena per riceverlo totalmente. Quando fu in profondità, lui la colpì di nuovo.
Era una tortura speciale essere frustata mentre scopava. Il piacere lottava con il dolore. L'uno poteva guadagnare terreno sull'altro prima che l'altro perdesse il controllo del campo. Nora affondò le dita in profondità nelle lenzuola nere e scosse i fianchi nel letto. Sentiva un fiotto di umidità che bagnava lui e che le rivestiva le cosce. Si muoveva facilmente ora dentro di lei e lei gemette. Ogni suo movimento la fece barcollare. La vista si annebbiò. I muscoli si contraevano e si rilassavano, stringendosi a lui dentro di lei. La stava ancora fustigando, ma il piacere aveva vinto la battaglia contro il dolore. Tutto quello che sentiva era lui dentro di lei. Tutto quello che voleva era che lui la scopasse come se fosse di sua proprietà.
Nora sentì un altro suono, il suono di un flogger buttato sul pavimento. Sentì le mani sulla sua schiena malconcia e le fece scivolare verso l'alto fino ai capelli. Sprofondò le mani tra le onde, sollevando i capelli e mettendo a nudo la parte posteriore del collo per lui. Poi morse con forza il collo, stringendo con i denti. Nessuna coscienza, nessuna considerazione. Solo sesso brutale e animale.
I colpi sembravano andare avanti all'infinito. Immobilizzata sotto di lui con le gambe aperte legate, Nora non poteva fare altro che prendere le sue spinte spietate. Lei avrebbe potuto fermarlo con una safe word, naturalmente, ma era l'ultima cosa che voleva. Una volta venuti, sarebbe finita e poi lo avrebbe odiato di nuovo. Una volta che si fosse concessa di odiarlo ancora, sarebbe stata la fine. Loro sarebbero finiti. I loro corpi si sarebbero allontanati e loro separati.
La fine.
Ma non era ancora finita. Søren infilò una mano sotto il suo corpo e trovò il clitoride. Quando la toccò lei seppellì il viso nel letto per disattivare i suoi gemiti. Non era giusto che sapesse manipolare il suo piacere così bene. Non era giusto che conoscesse la sua mente. Non era giusto che sapesse che lei lo voleva contro la sua volontà e se la prendesse comunque. Non era giusto che fosse contenta di quello che le faceva. Non era giusto che Dio gli avesse dato un cuore per amare lei e un secondo cuore per amare Dio. E non era giusto che avesse dovuto scegliere tra i due. Non era giusto che sapesse che Søren avrebbe rimpianto di lasciare la chiesa per lei. Non era giusto che l'unico modo in cui lei lo potesse amare era lasciarlo.
Ma chi ha detto che la vita è giusta?
Aprì gli occhi quando i denti di Søren lasciarono il collo. Lui nascose il viso tra i suoi capelli e inalò.
«Jeg elsker dig, min lille en.»
Ti amo, piccola mia.
Essere chiamata con quel nome era il male peggiore di tutti, peggio della fustigazione, peggio della scopata, peggio dei denti sepolti nella sua pelle morbida. Lo disse ancora una volta quando la punta delle dita lavoravano il suo clitoride in quel modo che sapeva l'avrebbe portata al limite. Perché doveva amare un prete? Perché di tutti gli uomini del mondo che avrebbe potuto amare, doveva essere lui? Lo disse una terza e quarta volta, lasciando che le parole scandissero il ritmo delle sue spinte. Non poteva sfuggire alle parole o al suo nome o al suo tocco, in modo preciso come se lui riuscisse a sentire tutto ciò che lei sentiva. Poteva anche sentire la sua rabbia verso di lui? Poteva sentire il suo dolore che non le aveva lasciato altra scelta che andare via da lui? Poteva sentire l'orgasmo che montava e aumentava fino al punto di rottura? Quando arrivò, esplose forte, ondate di piacere si irradiavano dal suo nucleo attraverso tutto il corpo.
Søren doveva aver avuto lo stesso pensiero, che una volta che questa pazza parentesi si fosse conclusa non sarebbe mai potuta accadere di nuovo, perché continuò a venire più a lungo di quanto avesse mai fatto prima. Il martellamento continuò senza sosta, così a lungo che venne di nuovo duramente come la prima volta. Più forte mentre affondava i denti nel braccio per attutire le proprie grida.
Sollevò i fianchi e si alzò su di lei. Una mano si posò sul lato della testa per mantenersi sollevato, mentre l'altra solcava forte nei capelli, tenendola in basso e contro il letto, immobile. La bocca le accarezzava le spalle nude, la schiena e il collo.

«Dov'è il tuo collare?» Chiese, tra le spinte.
«Andato. L'ho buttato via.»
«Bugiarda.»
Punì la sua bugia con una spinta feroce che sapeva di meritare. Poi la baciò con un bacio crudele che sapeva di meritare anche quello.
Si era perso dentro di lei. In un orecchio le sussurrò belle parole. Non aveva idea di che cosa fossero perché parlava danese, la sua lingua madre. Stava confessando il suo amore per lei? Il suo odio per lei? Il suo bisogno di lei? La sua solitudine? Poteva essere tutto quello o niente. Forse lui le stava chiedendo di tornare da lui. Se così fosse stato era meglio che parlasse in un'altra lingua in modo che non avrebbe dovuto rispondere. Sapeva come dire mai in inglese.
Quando nessuno dei due ne poté più, quando il sesso era diventato troppo per tutti, si lasciò andare e alla fine venne dentro di lei, la riempì con il suo seme e si tirò fuori lasciandola vuota.
«Eleanor?»
Sentì il suo nome da lontano. In lontananza sentiva le caviglie slacciarsi dal letto.
«Eleanor?»
«Non è più il mio nome.»

Testo tratto da The Queen di Tiffany Reisz
Traduzione a cura di Enrica, staff New Adult e Dintorni

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